Storie, notizie, analisi, per raccontare ogni giorno tutto ciò che accade fuori dai confini italiani. Fatti apparentemente lontani che ci riguardano sempre di più, quotidianamente. Dopo un anno di reportage, Giampaolo Musumeci posa lo zaino, accende il microfono e accoglie reporter, fotografi, analisti, i più autorevoli a livello internazionale.
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Episodio 4: La fine, l’inizio
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I corleonesi hanno il controllo di Cosa Nostra, dunque di una buona fetta della Sicilia. Ma a Palermo, lo Stato sta preparando il suo attacco più forte e concreto: sulla base della sentenza-ordinanza del giudice istruttore Giovanni Falcone (assieme al collega Paolo Borsellino), il 16 dicembre 1987 la Corte d’Assise condanna 346 imputati per un totale di 2665 anni di reclusione. “E’ il primo grande processo contro la mafia!” sottolinea Marcelle Padovani. La giornalista francese è tornata sull’isola, gira un reportage, scrive di nuovo un articolo sul giudice “illuminista” che le sta diventando amico. E ancora una volta ne sottolinea “la solitudine”, in particolare dopo il fallito attentato alla casa di vacanza all’Addaura. Il clima per il magistrato è pessimo, non solo per le minacce di Cosa Nostra, ma soprattutto per i veleni interni alla procura, per le allusioni e le insinuazioni che gli rendono il lavoro impossibile. Falcone accetta il trasferimento a Roma come direttore degli Affari penali al ministero di Giustizia. Ed è in questo contesto di lontananza e isolamento che la mafia mette a punto la sua vendetta: la strage di Capaci, 23 maggio 1992. L’ultima volta che Marcelle lo incontra lui le confessa che tornare in Sicilia è pericoloso: “Ma ho voglia di rivedere la pesca del tonno…”. All’indomani dei funerali, Padovani scrive il suo ultimo servizio su Falcone: “La mort en face”. “Mi sono detta, devo raccontarlo così come l’ho conosciuto; la morte per lui non era un argomento estraneo”. E a Palermo chi ci resta? “Si è istituita una rete di solidarietà, di amicizia, di comune credo negli stessi ideali – sono parole di Falcone -, che sicuramente prescinde dalla mia persona. E che non sarà disperso…”
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I corleonesi hanno il controllo di Cosa Nostra, dunque di una buona fetta della Sicilia. Ma a Palermo, lo Stato sta preparando il suo attacco più forte e concreto: sulla base della sentenza-ordinanza del giudice istruttore Giovanni Falcone (assieme al collega Paolo Borsellino), il 16 dicembre 1987 la Corte d’Assise condanna 346 imputati per un totale di 2665 anni di reclusione. “E’ il primo grande processo contro la mafia!” sottolinea Marcelle Padovani. La giornalista francese è tornata sull’isola, gira un reportage, scrive di nuovo un articolo sul giudice “illuminista” che le sta diventando amico. E ancora una volta ne sottolinea “la solitudine”, in particolare dopo il fallito attentato alla casa di vacanza all’Addaura. Il clima per il magistrato è pessimo, non solo per le minacce di Cosa Nostra, ma soprattutto per i veleni interni alla procura, per le allusioni e le insinuazioni che gli rendono il lavoro impossibile. Falcone accetta il trasferimento a Roma come direttore degli Affari penali al ministero di Giustizia. Ed è in questo contesto di lontananza e isolamento che la mafia mette a punto la sua vendetta: la strage di Capaci, 23 maggio 1992. L’ultima volta che Marcelle lo incontra lui le confessa che tornare in Sicilia è pericoloso: “Ma ho voglia di rivedere la pesca del tonno…”. All’indomani dei funerali, Padovani scrive il suo ultimo servizio su Falcone: “La mort en face”. “Mi sono detta, devo raccontarlo così come l’ho conosciuto; la morte per lui non era un argomento estraneo”. E a Palermo chi ci resta? “Si è istituita una rete di solidarietà, di amicizia, di comune credo negli stessi ideali – sono parole di Falcone -, che sicuramente prescinde dalla mia persona. E che non sarà disperso…”
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